Podcast era

Viviamo tempi orrendi.
La tecnologia applicata alla comunicazione ha spalancato finestre
su tutti gli abissi umani disponibili.
L’ascensore sociale è immobile,
l’orrore onnipresente,
l’estinzione a un passo.
Ma.
Ma.
Stamattina in quarantotto minuti di autobus, sardina tra sardine,
ho potuto aggiungere un piccolo frutto prezioso all’alberello delle mie conoscenze
grazie a uno smartphone, un podcast e a donne sapienti desiderose di condividere.
Nessuno è perduto.
In questi tempi malsani chiunque può avere accesso alla stessa materia
e, volendo, può soddisfare (alimentare!) il proprio desiderio di sapere,
unico vero motore di crescita umana e culturale.
La curiosità di ascoltare chi ne sa più di te,
quella di capire da dove vengono e dove vanno i tempi che viviamo,
la sconvolgente scoperta di avere una passione sopita per la matematica,
la filosofia,
la pasticceria,
la finanza internazionale.
No, certo, anche prima si poteva sapere volendo.
I libri, sì, li amo, li compro e li leggo anche io.
Il teatro, la radio, la tv, il cinema, l’università, chiaro.
Ma questa tecnologia, questa disponibilità e portabilità,
mette davvero tutti nella condizione di arricchirsi.
A qualunque età, livello d’istruzione,
gradino della scala sociale, tempo disponibile.
Imparare, aspirare,
spezzare la gabbia arruginita o dorata che mi circonda,
farmi travolgere da mondi lontani,
svegliare dai dubbi,
coccolare dalle certezze,
infuriare dalle ingiustizie.
Tipo stamattina, con Ipazia d’Alessandria.
Una ricchezza enorme, immateriale, potente e gratuita.
Che mondi, che tempi.