Le bambine cattive

In principio fu “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti.

Era il 1982, io avevo sette anni e già leggevo spedita ma mia madre, per essere sicura che lo capissi bene, ha aspettato almeno un lustro prima di sottopormelo.

Sono passati 30 anni dalla pubblicazione di quel libro ed è davvero sconfortante vedere quanto poco sia cambiato rispetto all’indottrinamento coatto dei bambini sui modelli “maschio” e “femmina”.

Così come viene bene spiegato in un altro libro uscito circa 10 anni dopo (“Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés), le bambine vengono educate ad essere carine, preferibilmente mai arrabbiate o aggressive che non sta bene (a meno che non si tratti di aggressività sessuale che invece fa tanto panterona e ci piace).
Appassionate, coinvolte sì ma solo per le cose giuste (quasi sempre un uomo, con rare eccezioni per le arti maggiori e qualche sport) altrimenti, in vortice di automatismo culturale, saranno considerate delle sfigate, disadattate, acide, zitelle e, definitivamente, delle puttane rompicoglioni.

La volgarità vi infastidisce? Sapeste a noi che da quando siamo in grado di ascoltare ci riempiamo le orecchie tutti i giorni di queste oscenità.
Sapeste a noi come brucia essere guardate come streghe, nel 2012, perchè rifiutiamo il cliché della creatura “inferiore per natura” e pretendiamo di alzare la voce, sbraitare, vincere, essere cattive.

A proposito di questo ho trovato a dir poco scandaloso l’articolo del Corriere della Sera dove si definiva Sabina Guzzanti “torva” perchè non ama le vittime della sua satira come invece fa Benigni. Che, proprio per questo, è apprezzato da tutti.
Ma ci rendiamo conto della follia cognitiva?
Dove sta scritto che il compito di un comico è farsi amare da tutti?
La Guzzanti ha alti e bassi come tutti i gli artisti, ma perchè mai dovrebbe trattare le sue “vittime” con questa pietà cristiana?
Perché è femmina  e questo livore, peraltro derivato da impegno e passione politica e civile, in una donna non sta bene?
Un Luttazzi in gonnella non vi piace? E’ sconveniente? Irritante?

No, non è questo, è che molti (troppi) uomini hanno ancora paura.
Una paura sorda, atavica, incontrollabile di non essere all’altezza perché quando una donna si concentra su se stessa, raggiunge la consapevolezza del suo potenziale, si libera dai condizionamenti e prende una direzione (sia in senso letterale che metaforico), non c’è più spazio per i consueti teatrini sociali e relazionali.
Per avere accesso al confronto e ottenere un risultato, bisogna cambiare le parole, le modalità, agire in veste nuova. Gli schemi consueti non funzionano più.

E’ in quel preciso momento (che può anche non arrivare mai beninteso) che ogni uomo rivela la sua natura e affronta lo stadio di crescita più difficile e importante della sua esistenza.

Tra le numerose reazioni che nella mia esperienza di femmina ho potuto osservare, tre sono quelle che sembrano essere prevalenti.
Alcuni uomini fuggono, irrimediabilmente, cercando e trovando conforto tra le braccia rassicuranti di donne dall’anima acerba, ancora disposte ad accogliere meccanismi pre-ordinati, standardizzati e, soprattutto, estremamente favorevoli agli uomini. Sono la maggioranza.
Altri ci provano, si siedono, aprono testa e cuore e affrontano la tempesta, con alterna fortuna ma grande beneficio per entrambi i sessi. Sono i migliori. E sono rarissimi.

Altri ancora, invece, reagiscono. E male. Attaccano con potente furia distruttrice e intento punitivo crescente: un’umiliazione verbale, uno schiaffo, spesso il sangue che scorre copioso sul pavimento della cucina.
E’ una nutrita schiera di potenziali mostri, nascosti dietro cravatte da mille euro o mani di contadino (in questo contesto non esistono differenze di classe), che non tollera, non manda giù, non permette, non prende nemmeno lontanamente in considerazione l’ipotesi di una donna come individuo che ha diritto all’autoaffermazione.
E’ un tentativo neanche troppo velato di annientare ciò che non si riesce a controllare, un pericolo strisciante che si annida in ogni casa, in ogni ufficio, in ogni mezzo pubblico.

Un incubo che fa più vittime della guerra in Afghanistan e si reitera quasi senza soluzione di continuità, come maledetta eredità genetica che non si riesce a curare.

In Italia più che un allarme è già una catastrofe che ha radici antiche e profonde, che grava anche sulle spalle di generazioni donne-mamme troppo tolleranti con i pargoli violenti e poco inclini all’educazione alla parità; sulle spalle di donne-complici di compagni, mariti, colleghi e parenti furiosi e sprezzanti e, infine, sulle spalle di donne e uomini “normali” che non si fanno megafono di questo strazio e portavoce di nuovi modelli di comportamento.

E’ un impegno da prendersi in prima persona e io lo faccio senza alcun indugio perché, grazie a una donna-madre fuori dal comune, sono stata cresciuta come una bambina cattiva.